Ora che lo sai? #7 - Dopo l'11 ottobre 2013

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Come promesso, dopo aver parlato dell’11 ottobre 2013, ho voluto esplorare in che modo e in che misura quella data può aver segnato la materia dell’ immigrazione in Italia e in Europa.

Una condanna per l’Italia

Dopo essere stato colpito dalle raffiche di mitra di una motovedetta libica, un peschereccio partito dalla Libia affonda a largo di Lampedusa trascinando con sé 268 persone, tra queste 60 minori. Era l’11 ottobre 2013. Il 27 gennaio 2021 il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite dichiarava l’Italia responsabile per non aver saputo tutelare il diritto alla vita. Questo, in sintesi, l’argomento trattato nell’ultimo numero di “Ora che lo sai?”.

Ma che peso ha la sentenza che ha definito l’attendismo italiano una violazione del diritto alla vita? Che significato ha questa responsabilità per l’Italia?

Per rispondere a queste domande mi sono rivolta a Matteo Villa, assegnista di ricerca dell’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale) per il centro Europa e global governance. 

Da oltre un secolo il diritto internazionale sancisce l’obbligo di salvataggio in mare. Sono diversi i trattati internazionali che l’Italia ha ratificato, e proprio sulla base di quei trattati è stata condannata nel 2021. Questa decisione, la prima nella storia in tal senso, crea un precedente importantissimo: l’Italia è stata condannata per non aver salvato la vita di migranti che si trovavano in acque internazionali e non a bordo di una nave battente bandiera italiana. Lo stesso principio potrebbe dunque essere applicato anche in altri simili casi. Tuttavia, cosa cambia di fatto, se le condanne portano quasi sempre a multe simboliche e a una pronuncia morale sull’infrazione del diritto internazionale?

«Dire che nulla cambia non sarebbe corretto – spiega Matteo Villa – anche se sarebbe legittimo trarre una conclusione simile. In un certo senso cambia ciò che ci si può attendere dai protagonisti. Se oggi noi dicessimo “Non è giusto fare ricerche e soccorso in mare”, rischieremmo altrettante condanne. Bisogna fare attenzione però, perché purtroppo il diritto internazionale è molto fumoso, è una zona grigia che condanna gli stati e non le persone, quindi quel ministro o quella persona fisica che rilascia delle dichiarazioni non corre in realtà alcun rischio di per sé. È poi lo Stato a dover eventualmente pagare e a gestire le conseguenze di quello che succede». 

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